LE RAGIONI DEL PARTITO RIVOLUZIONARIO
L’annuncio di una nuova era di progresso, che i circoli liberali d’occidente avevano sbandierato dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) è stato smentito dai 20 anni successivi. La grande crisi che investe l'economia capitalistica d'occidente a partire dal 2007 ha definitivamente spazzato via ogni illusione. ;
Ovunque avanzano controriforme sociali. La precarizzazione del lavoro dilaga. Si moltiplicano le politiche di smantellamento dei contratti nazionali di lavoro per soccorrere le ragioni del profitto nella competizione mondiale. Si approfondiscono le politiche di saccheggio della previdenza pubblica, della sanità, dell'istruzione per pagare gli interessi sul debito pubblico alle banche che l'hanno comprato. Parallelamente, ;tornano le guerre imperialiste e le corse coloniali per il controllo delle zone d’influenza. Si affacciano enormi flussi migratori, quali fughe di massa dalla fame e dalla morte. Si aggrava la catastrofe ambientale e gli squilibri ecologici su scala planetaria.
Il capitalismo ha dunque celebrato la sua “vittoria” nel momento stesso in cui non ha più nulla di progressivo da offrire alle giovani generazioni.
Tanto più nell’attuale epoca storica, ogni illusione di riforma socialmente progressiva del capitalismo è priva di qualsiasi fondamento. Non c’è un solo governo borghese oggi al mondo che promuova riforme sociali progressive di una qualche rilevanza. Ovunque i governi borghesi di ogni colore gestiscono le medesime politiche di “sacrifici”. Le illusioni alimentate di volta in volta nei Prodi, Obama, Zapatero, sono state ridicolizzate dalla realtà. Le sinistre che entrano in questi governi o che li appoggiano – quando anche si definiscono “comuniste” – si fanno complici di quelle politiche contro i lavoratori e i giovani.
La verità è che non c’è via d’uscita “progressiva” per l’umanità dentro il regime capitalista. Solo una prospettiva socialista e rivoluzionaria su scala internazionale può liberare il mondo dalla regressione storica che l’attraversa.
L’ATTUALITA’ DELL’ALTERNATIVA SOCIALISTA
La crisi capitalista è la documentazione quotidiana del carattere distruttivo e regressivo del capitalismo.
La logica della ragione è capovolta. L’incremento della produttività incorporato alla tecnica consentirebbe una riduzione progressiva dell’orario di lavoro e una distribuzione tra tutti del lavoro che c’è: e invece si combina con un aumento del tempo di lavoro giornaliero e di vita (età pensionabile), della disoccupazione, dello sfruttamento. Grandi risorse del sapere scientifico potrebbero essere impiegate nella salvaguardia dell’ambiente e nella lotta contro il cancro e l’AIDS: e invece sono investite nella spesa per armamenti. Le potenzialità della produzione alimentare consentirebbero di sfamare la popolazione mondiale per un totale di 12 volte la sua attuale entità: e invece aumenta massicciamente la fame nel mondo sullo sfondo della desertificazione di intere parti della terra.
Proprio nell’attuale epoca storica si manifesta dunque al massimo grado tutta la barbarie di un’economia fondata sul profitto che concentra nelle mani di 750 multinazionali le leve della ricchezza e delle sue destinazioni d’uso. E che affida a un pugno di grandi potenze, in concorrenza tra loro, a partire dagli USA, il controllo del pianeta. Solo l’esproprio della borghesia e il rovesciamento del suo potere politico; solo riconducendo le leve dell’economia e della scienza sotto il controllo pubblico dei lavoratori e della maggioranza della società, è possibile restituire alla specie umana il potere di decidere del proprio futuro.
IL SOCIALISMO NON E’ “FALLITO”. E’ STATO TRADITO.
La prospettiva socialista non è “fallita”. E’ stata tradita dalla socialdemocrazia e dallo stalinismo, nel nome di ragioni materiali del tutto estranee all’emancipazione del lavoro.
La socialdemocrazia internazionale, a partire dal suo sostegno alla prima guerra mondiale, ha utilizzato la bandiera del “socialismo” solo per subordinare i lavoratori ai propri appetiti ministeriali a braccetto con la propria borghesia.
Lo stalinismo, a partire dagli anni '30, ha usato la bandiera della Rivoluzione d’Ottobre come pura retorica d’apparato: al servizio degli interessi di una burocrazia parassitaria che prima ha distrutto e decapitato il partito bolscevico e gli strumenti di autorganizzazione delle masse; poi ha subordinato a sé il movimento comunista internazionale indirizzandolo verso la collaborazione con la borghesia; infine ha gestito la restaurazione del capitalismo per sopravvivere al proprio crollo e salvaguardare – mutandone il segno - i propri privilegi: dalla Russia alla Cina.
Certo, la natura e il crollo dello stalinismo sono stati cinicamente utilizzati dalla borghesia come “prova” del fallimento del socialismo. Ma al tempo stesso proprio il crollo dello stalinismo internazionale – se nell’immediato ha favorito l’imperialismo – ha liberato su scala storica la possibilità di rilanciare nella sua autenticità la prospettiva socialista internazionale, e il suo programma di liberazione. Non un programma di potere della “burocrazia”, con le sue ville, i suoi negozi speciali, i suoi superstipendi. Ma un programma di potere dei lavoratori per i lavoratori, sulla base di un'economia pianificata, finalmente liberata dal dominio del profitto. Su queste basi nacque il comunismo di Marx, di Lenin, di Trotsky e della rivoluzione d’Ottobre. Il socialismo nel XXI secolo può rinascere solo recuperando e riattualizzando quei fondamenti.
PER LA RIFONDAZIONE DEL PARTITO INTERNAZIONALE DEI LAVORATORI
La crisi di consenso del capitalismo ricostruisce lo spazio di rilancio di una prospettiva rivoluzionaria internazionale.
E’ vero: le classi lavoratrici hanno subito, negli ultimi decenni, sconfitte pesanti. E spesso un’involuzione profonda della loro stessa coscienza. E tuttavia il capitalismo fatica a stabilizzare il nuovo ordine internazionale. Non avendo più nulla da offrire alle giovani generazioni, fatica a conquistare il loro sostegno. Ed anzi: le politiche dominanti (spese militari, guerre, sacrifici sociali, precarietà dilagante…) registrano ovunque, alla lunga, un’enorme crisi di credibilità presso le loro vittime. Ovunque si ammassano le fascine del malcontento, e si moltiplicano i fenomeni di resistenza o ribellione. Il processo di sollevazione delle popolazioni arabe contro regimi dittatoriali e filoimperialisti; l''esplosione di movimenti giovanili di massa contro la dittatura delle banche, negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei (Spagna); le lotte di resistenza sociale della classe operaia e delle masse popolari contro le politiche dell'Unione Europea e dei governi borghesi del vecchio continente, a partire dalla Grecia; l'emergere diffuso di una nuova generazione alla testa delle mobilitazioni di massa - in Nord Africa, in Europa, in USA - sono tutti sintomi di un potenziale esplosivo enorme.
Questi fenomeni di ribellione – pur così diversi tra loro – tenderanno a riprodursi nella prossima fase storica, in un quadro prevedibile di instabilità mondiale.Ma ciò che ancora manca nei vari paesi e su scala internazionale è un progetto anticapitalistico complessivo e una forza organizzata che lo promuova, capaci di unificare le le ragioni delle grandi masse attorno a una cosciente prospettiva socialista. E proprio l’assenza o la debolezza ancora di una sinistra rivoluzionaria, consente ai vecchi apparati di estrazione socialdemocratica o staliniana o nazionalista - e persino a forze fondamentaliste come nelle rivoluzioni arabe - di subordinare le lotte e i movimenti a sbocchi e disegni che nulla hanno a che vedere con le loro ragioni.
Per questo, la costruzione di una sinistra rivoluzionaria internazionale, basata su un programma socialista, è, più che mai, all’ordine del giorno del nostro tempo. La rifondazione di un partito internazionale dei lavoratori, basato sul recupero dei principi del marxismo e della battaglia storica contro lo stalinismo e la socialdemocrazia, risponde a questa necessità: da qui il nostro impegno per la rifondazione della IV Internazionale.
PER UN’ALTRA SINISTRA ITALIANA
L’intera storia italiana, in particolare del secondo dopoguerra, testimonia la necessità di costruire questa sinistra nuova.
Non sono certo mancate, nel nostro paese, esperienze di ribellione al capitalismo da parte di grandi masse. Dalla eroica resistenza partigiana che invocava “la rossa primavera”; alla grande ascesa operaia e giovanile del '68-'69, a partire dall’autunno caldo; sino alle stesse mobilitazioni che, pur in un quadro di arretramento sociale, si sono sviluppate negli ultimi 20 anni. Ma ogni volta quelle grandi lotte e aspettative di svolta sono state usate dalle direzioni maggioritarie del movimento operaio, vecchie o nuove, come leva di compromesso con le classi dirigenti del paese, contro i lavoratori e i movimenti.
La resistenza partigiana fu piegata all’unità nazionale tra DC e PCI dell’immediato dopoguerra, in nome della ricostruzione del capitalismo italiano. L’autunno caldo finì tra le braccia del nuovo compromesso storico tra PCI e DC, su un programma di austerità . Le grandi lotte contro Berlusconi degli ultimi 20 anni sono state usate e svendute a favore del centrosinistra: la grande lotta del '94 a difesa delle pensioni fu usata per aprire il varco ai governi Dini ('95) e Prodi ('96-'98) che colpirono proprio le pensioni; i grandi movimenti contro il secondo governo Berlusconi (2001-2004) sono stati usati a favore di un secondo governo confindustriale di Romano Prodi (2006-2008): che col voto di Ferrero e Vendola ha finanziato la guerra, ha detassato i profitti delle banche, ha difeso la precarizzazione del lavoro, e ha finito con lo spianare la strada.. al terzo governo Berlusconi; infine le lotte contro il terzo Berlusconi sono state frammentate e contenute dal centrosinistra per aprire la via al governo diretto di banche e Confindustria (Monti): che col sostegno determinante del PD ha prima distrutto le pensioni d'anzianità ed oggi vuole manomettere l'articolo 18. Ciò che neppure Berlusconi era riuscito a fare.
Il fattore determinante della lunga parabola delle sconfitte è stato dunque la subordinazione delle sinistre italiane al capitalismo e al suo Stato.
La lunga deriva del Partito della Rifondazione Comunista, nato come “cuore dell'opposizione” e finito tragicamente fra le braccia di Prodi a votare le guerre, non è affatto un deprecabile incidente di percorso. Tanto meno lo è l'aspirazione di Vendola a guidare il governo della settima potenza capitalista del mondo, a braccetto del PD e se occorre dell'UDC. Nel loro piccolo, questi episodi sono il condensato di larga parte del 900.
Occorre allora intraprendere la costruzione, a sinistra, di una storia nuova, che tragga le lezioni dal passato e segni una svolta radicale di prospettiva. Partendo da una battaglia di principio per l’indipendenza del movimento operaio.
PER UN POLO AUTONOMO ANTICAPITALISTICO
Il Partito Comunista dei lavoratori è nato da una precisa scelta di campo.
Non abbiamo altri interessi da difendere e rappresentare di quelli dei lavoratori, delle lavoratrici, delle classi subalterne di questo paese. Vogliamo costruire una rappresentanza politica vera di quelle ragioni, in aperta opposizione al Centrosinistra e al Centrodestra. Se il Centrosinistra vuole legare i lavoratori al carro del grande capitale, noi ci battiamo per una prospettiva opposta: per la piena autonomia del mondo del lavoro e delle sue ragioni rispetto a tutte le forze della borghesia italiana.
Ci battiamo per la costruzione di un “polo autonomo anticapitalistico”. Contro tutti coloro che vogliono subordinare i lavoratori agli interessi di altre classi, rivendichiamo l’unità del mondo del lavoro attorno a un proprio programma e ad una propria prospettiva: quella di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici di aperta rottura con l’ordine capitalistico della società.
A chi ci accusa di voler dividere i lavoratori aggravando la “frammentazione a sinistra”, rispondiamo nel modo più semplice: a dividere i lavoratori ci pensano quotidianamente Centrosinistra e Centrodestra con le loro campagne mistificatrici (giovani contro anziani, “garantiti” contro precari, privati contro pubblici, italiani contro immigrati). Siamo noi a voler unire l’intero mondo del lavoro in contrapposizione alle classi dominanti. E siamo noi a sfidare apertamente all’unità tutte le forze della sinistra e dei sindacati che parlano a nome del mondo del lavoro: “Rompete col Partito Democratico e con la borghesia italiana, e realizziamo insieme, unitariamente, una battaglia comune su un programma alternativo”. Sta di fatto, purtroppo, che gli apparati della sinistra preferiscono l’unità col capitale contro i lavoratori all’unità dei lavoratori contro il capitale. Che la stessa direzione della CGIL, che pur contrasta Monti, fa da sponda al PD sull'articolo 18. Che il PRC continua ad allearsi ovunque col PD per le elezioni amministrative, e tiene aperta la prospettiva di “un alleanza democratica col PD” per il 2013. Che Sinistra e Libertà si fa parte organica del centrosinistra ovunque a braccetto del PD. Chi è dunque che tradisce “l’unità”?
A chi ci accusa di volere l’“impossibile” perché rivendichiamo la prospettiva di un governo dei lavoratori, chiediamo di guardare in faccia la realtà. I grandi capitalisti e le grandi banche governano l’Italia da quasi due secoli, utilizzando le più svariate forme istituzionali. In particolare negli ultimi 20 anni si sono alternati al governo il capitalista Berlusconi e i rappresentanti del grosso delle grandi imprese e delle banche: entrambi a garanzia di una minoranza di saccheggiatori contro le esigenze della maggioranza della società. Ebbene, noi vogliamo rovesciare questo sistema. Non sta scritto su nessuna tavola della legge che possono governare solo i capitalisti e i loro partiti contro i lavoratori. Possono governare i lavoratori, i loro partiti, le loro organizzazioni, per liberare la società dalla dittatura dei capitalisti e riorganizzarla su basi nuove. Sviluppare nella classe lavoratrice la coscienza di questa possibilità è il senso stesso della nostra politica.
BASTA SACRIFICI. REDISTRIBUIRE LA RICCHEZZA ;PER UNA VERTENZA GENERALE DEL MONDO DEL LAVORO, DEI PRECARI, DEI DISOCCUPATI
Nell’immediato, proponiamo lo sviluppo di una grande vertenza generale del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, attorno a una propria piattaforma di lotta.
Sono vent’anni che le sinistre italiane, politiche e sindacali, accettano di negoziare… sulla piattaforma del padronato: prima sulla cancellazione della scala mobile; poi sui tagli alle spese sociali, sulle privatizzazioni, sull’abbattimento della previdenza pubblica; poi sulla precarizzazione dilagante; infine sui diritti del lavoro. Ogni volta si è detto che i “sacrifici” richiesti servivano a ottenere miglioramenti futuri. E’ accaduto l’opposto: ogni arretramento ha trascinato con sé altre sconfitte. Sino alla devastazione attuale.
Ora basta. In tutti i movimenti, in tutti i sindacati, ci battiamo per porre l’esigenza di una svolta di fondo. Ogni negoziato sui nuovi sacrifici è inaccettabile e va respinto. Occorre una vertenza vera non sulle richieste del padronato ma sulle esigenze dei lavoratori. Una vertenza basata su una piattaforma di lotta che unifichi tutto ciò che il capitale ha diviso e divide: blocco dei licenziamenti; ripartizione fra tutti del lavoro esistente, con la riduzione progressiva del lavoro a parità di paga, perché nessuno sia privato del lavoro; cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro; un salario sociale vero per i disoccupati che cercano lavoro e per i giovani in cerca di prima occupazione; un grande piano di opere sociali e di risanamento ambientale (non la Tav) che risollevi i servizi pubblici (casa, trasporti, sanità, scuola) e dia nuovo lavoro a milioni di disoccupati, italiani e migranti; un forte aumento di salari e stipendi per l'insieme del lavoro dipendente; ritorno della previdenza pubblica a ripartizione e l'abolizione delle controriforme pensionistiche degli ultimi 20 anni.
A chi afferma che non vi sono risorse per finanziare queste richieste, rispondiamo che le risorse non solo esistono ma sono immense. Basta prenderle là dove sono. Dai 70 miliardi che lo Stato paga ogni anno alle banche, grandi acquirenti dei titoli di Stato. Dagli immensi profitti realizzati dalle grandi imprese in anni e decenni di supersfruttamento del lavoro e di bassi salari. Dal grande patrimonio finanziario detenuto dal 2% delle famiglie italiane. Dai 21 miliardi di spese militari previsti dal bilancio dello stato e destinati a costosissimi armamenti, missioni di guerra, e profitti dell’industria militare. Per non parlare infine della famigerata evasione fiscale del grande capitale o della Chiesa.
E’ vero invece che una piattaforma di lotta unificante e di svolta che dica a chiare lettere “Paghi chi non ha mai pagato” potrebbe conquistare un vasto consenso e mobilitare grandi energie contro le classi dominanti, aprendo una vera prova di forza. Peraltro solo un’aperta prova di forza può strappare risultati e conquiste parziali: è la lezione della grande mobilitazione vincente dei lavoratori e precari francesi nel 2005 contro le misure di precarizzazione del lavoro.
LICENZIARE I LICENZIATORI. NAZIONALIZZARE LE BANCHE.
Una prova di forza con le classi dominanti non potrebbe limitarsi alla sola redistribuzione della ricchezza, ma chiamerebbe in causa il tema stesso della proprietà.
Tutte le sinistre di governo si genuflettono di fronte al totem della proprietà privata dei grandi mezzi di produzione e di scambio. Il fatto che nelle mani di una piccola minoranza della società si concentrino tutte le leve di comando (industria, credito, servizi, telecomunicazioni, stampa) non suscita ai loro occhi alcuno scandalo. Al contrario tutti i “democratici” lo considerano un fatto normale e inevitabile. Di più: negli ultimi 20 anni hanno sostenuto o avallato un gigantesco processo di privatizzazioni che ha allargato a dismisura proprietà e ricchezze del capitale, a vantaggio di poche grandi famiglie e a scapito dei lavoratori .
Noi vogliamo ribaltare questa politica. Se Centrodestra e Centrosinistra si interrogano ogni giorno sul “costo del lavoro” per il capitale, noi poniamo la domanda opposta: quanto costa la proprietà capitalistica al mondo del lavoro e alla società italiana? Un costo immenso. E non un costo “naturale”. Ma il costo irrazionale del privilegio e dell’arbitrio su cui si fonda l’attuale struttura della società. Noi vogliamo sopprimere quel costo per un altro ordine della società. Per questo, a partire dalle lotte dei lavoratori, avanziamo alcune rivendicazioni elementari.
La rinazionalizzazione, sotto controllo operaio e senza indennizzo (se non per i piccoli risparmiatori), di tutte le aziende e i servizi che sono stati privatizzati negli ultimi 20 anni, a partire dai settori strategici: non è possibile costruire alcuna alternativa se innanzitutto non si libera il campo dalle devastazioni compiute. Se non si recuperano al controllo pubblico beni fondamentali per la qualità della vita, a partire dall’acqua.
L’unificazione sotto controllo pubblico dell’istruzione e della sanità: scuola privata e sanità privata non solo contraddicono la necessaria universalità e gratuità di servizi pubblici fondamentali, ma sottraggono grandi risorse al servizio pubblico. Spesso, oltretutto – come nella sanità – per truffe e speculazioni ignobili sulla pelle dei malati. E’ inaccettabile. Istruzione e sanità debbono essere pubbliche e laiche.
La nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori delle industrie in crisi, che inquinano, che licenziano. Migliaia di aziende prendono soldi dallo Stato per realizzare ristrutturazioni antioperaie, portare all’estero gli impianti, lasciare sulla strada i dipendenti. E’ intollerabile. E’ necessario unificare le 4.500 lotte di resistenza oggi in corso nelle fabbriche in crisi a difesa dei posti di lavoro in un ampio fronte unitario di lotta. E’ possibile solo se la parola d’ordine della nazionalizzazione delle aziende in crisi è fatta propria dal movimento operaio italiano. Come in settori d’avanguardia e lotte radicali di altri paesi.
La nazionalizzazione delle assicurazioni e delle banche. Banche e assicurazioni sono l’architrave del potere economico in Italia. Ma anche strumento di oppressione verso ampi strati popolari: attraverso il nodo scorsoio del debito pubblico e dei mutui usurai, il raggiro di correntisti e piccoli risparmiatori, i legami con la criminalità, la partecipazione, da protagonisti, a truffe gigantesche e scandali nazionali (Cirio, Bond Argentini, Parmalat). La nazionalizzazione delle banche e la loro unificazione in un unico istituto di credito sotto controllo popolare, sarebbe non solo un fattore di eliminazione di sprechi: ma anche una leva di igiene morale e di liberazione dallo strozzinaggio per un’ampia parte della società. E un colpo severo a mafia e camorra.
A chi obietta che queste misure, nel loro insieme, sono “incompatibili”, con le leggi economiche dell’attuale società e dell’attuale Unione Europea, rispondiamo semplicemente che è vero. Infatti ci battiamo per un’altra società e per un’altra Europa. E’ il capitalismo ad essere “incompatibile” con le esigenze della maggioranza della società. Solo un’economia democraticamente pianificata, basata sul controllo delle leve della produzione e del credito da parte dei lavoratori può consentire una riorganizzazione dei rapporti sociali in funzione dei bisogni dei molti e non del profitto dei pochi. In Italia e in Europa.
NO ALL’IPOCRISIA (E AI COSTI) DELLA “DEMOCRAZIA” BORGHESE
Un programma anticapitalistico richiede una lotta generale per un altro governo e un altro Stato.
L’attuale natura dello Stato è funzionale alle attuali classi dominanti. Altro che “democrazia”! grandi imprese e le banche controllano direttamente o indirettamente ampi settori della burocrazia statale, centrale e periferica: che è il vero governo ordinario della società.
Imprese e banche si disputano il controllo della stampa e delle comunicazioni con un fitto gioco di cordate e di clan; si comprano quotidianamente la stessa inosservanza delle leggi (come nel caso di norme ambientali, obblighi fiscali, o della sicurezza sul lavoro), attraverso la corruzione o le relazioni compiacenti con la pubblica amministrazione; pagano ordinariamente tutti i principali partiti di governo sotto forma di pubbliche regalie e spese di lobbies, come come risulta ormai sempre più spesso dagli stessi bilanci pubblici dei principali partiti. Si può continuare.
E’ questo lo Stato che incarnerebbe la “sovranità popolare”?
No: l’unica “sovranità” che questo Stato tutela è il potere di chi detiene il potere, cioè una piccola minoranza della società. L’unica legalità che difende è la legge del più forte (anche al prezzo di un’ordinaria illegalità). Come dimostra l’azione criminale intrapresa ciclicamente contro le lotte d’emancipazione della classe operaia e delle masse oppresse: da Gladio allo stragismo degli anni ’70 sino alle brutalità repressive di Genova 2001 contro la ribellione “noglobal”.
La cosiddetta II Repubblica con le leggi elettorali maggioritarie, i progetti di rafforzamento dei governi (nazionali e locali) a scapito delle assemblee elettive, ha semplicemente rafforzato i comitati d’affari delle classi dominanti e il loro Stato, quale corpo separato dalla maggioranza della società. La crescita scandalosa dei privilegi e dei costi delle istituzioni borghesi è solo la sanzione simbolica di quella separatezza.
SE NE VADANO TUTTI. GOVERNINO I LAVORATORI
Noi ci battiamo per un altro Stato. Perché ci battiamo per il potere reale dei lavoratori e delle lavoratrici.
Naturalmente lavoriamo per la difesa di tutti i diritti democratici che la classe operaia e le masse popolari hanno conquistato e strappato con durissime lotte. Prima contro il fascismo. Poi contro i manganelli dell’attuale “democrazia” borghese. Ed anzi lottiamo per ampliare (o recuperare) questi diritti contro l’involuzione in corso, rivendicando il ritorno a una legge elettorale pienamente proporzionale, la difesa e sviluppo delle libertà sindacali , la difesa delle libertà delle donne, la parità di diritti tra lavoratori italiani e immigrati, contro ogni forma di xenofobia, la parità dei diritti degli omosessuali e di tutte le minoranze oppresse, contro ogni cultura e discriminazione omofobica.
Ma non ci limitiamo a questo. Rivendichiamo una democrazia dei lavoratori e delle lavoratrici: quella in cui la maggioranza della società non ha solo il diritto di votare ogni 5 anni chi la trufferà in Parlamento, ma ha il potere di decidere le condizioni della propria vita e del proprio futuro. Per questo rivendichiamo una democrazia fondata sull’autorganizzazione democratica dei lavoratori stessi, con rappresentanti eletti direttamente nei luoghi di lavoro e sul territorio; con il più ampio e libero confronto tra diverse proposte, organizzazioni, partiti, sulla base del principio proporzionale e del comune riconoscimento del potere popolare; dove ogni eletto è permanentemente revocabile dai suoi elettori e privo di qualsiasi privilegio rispetto alla sua base elettiva; dove il potere politico concentra nelle proprie mani sia le funzioni legislative che esecutive; dove tutte le articolazioni del potere e gli stessi strumenti di difesa del nuovo ordine sociale sono basati sulla forza organizzata dai lavoratori stessi. Fantasie? Al contrario. Questa nuova natura e organizzazione dello Stato si è affacciata concretamente, in forma compiuta o come tendenza, in ogni grande rivoluzione dell’età contemporanea. Dalla Comune di Parigi ai Soviet russi, dai consigli della rivoluzione tedesca ai consigli del biennio rosso in Italia. E riemerge prepotentemente, come potenzialità, ogni volta che le classi oppresse alzano la testa: dai consigli di fabbrica dell’autunno caldo nell’Italia dei primi anni ’70, alle assemblee popolari della sollevazione argentina (2001) sino all’autorganizzazione di massa della rivolta francese contro la precarietà (2005). In ogni grande lotta di massa vogliamo porre la questione dell’autorganizzazione dei lavoratori. Perché i lavoratori possono comandare, non solo ubbidire.
A chi obietta che è una proposta arcaica, rispondiamo che è l’unica risposta reale e straordinariamente attuale, alle stesse istanze di moralità pubblica, efficienza, economicità che la propaganda dominante oggi solleva in modo ipocrita e distorto.
“Costi della politica”? Nessuna soluzione è più economica dell’eliminazione degli stipendi faraonici agli attuali parlamentari (o consiglieri regionali); della assegnazione ad ogni deputato del popolo di uno stipendio da lavoratore; della soppressione del bicameralismo (quanto costa il Senato?).
“Efficienza”? Nessuna soluzione è più efficiente di quella che unifica poteri legislativi ed esecutivi, che smantella l’enorme parassitismo dell’attuale burocrazia dello Stato, che affida alla forza organizzata dei lavoratori e alla loro mano pesante (e non ad amministrazioni colluse o impotenti) la repressione della mafia e della grande criminalità organizzata.
“Moralità e trasparenza dello Stato”? Nessuna soluzione è più trasparente di quella che cancella ogni forma di segreto di Stato; che abolisce la diplomazia segreta; che abbatte la separatezza dello Stato, restituendolo alla società civile. E nessuna soluzione è più igienica e morale di quella che, abolendo il potere della borghesia e il cinismo del profitto, estirpa alla radice il fondamento stesso della corruzione e del malaffare.
La borghesia ha fatto della sua politica un costoso strumento di raggiro e di privilegio. Solo il potere dei lavoratori può edificare uno Stato trasparente e a buon mercato, rifondando la natura stessa della politica e trasformandola in strumento di gestione collettiva del bene comune.
COSTRUIAMO IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Su questo programma generale vogliamo costruire il Partito Comunista dei Lavoratori. Il PCL è nato nel 2008, ed è ancora un piccolo partito. Ma in crescita. In questi primi anni di vita, abbiamo esteso la nostra presenza organizzata in tutto il paese. Abbiamo rafforzato le nostre radici sociali nella classe operaia e nelle organizzazioni sindacali. Abbiamo allargato, soprattutto nell'ultimo anno, la nostra presenza tra i giovani. Abbiamo utilizzato e utilizziamo tutte le tribune elettorali, in piena indipendenza politica, per presentare un programma rivoluzionario a milioni di proletari e innanzitutto alla loro parte più cosciente.
Soprattutto, nonostante le nostre deboli forze, abbiamo costruito una nostra presenza riconoscibile in tutte le lotte di massa di questi anni: dalle lotte contro il governo Prodi (quando ancora era sostenuto da una maggioranza che andava da Mastella a Turigliatto); alla grandi mobilitazioni sociali e democratiche contro il governo Berlusconi; sino alle attuali mobilitazioni operaie contro il governo Monti. Ed oggi siamo parte rilevante del fronte unico di lotta raggruppatosi attorno al Comitato Nazionale No Debito, con la parola d'ordine caratterizzante della nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo e sotto controllo sociale.
La costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori è tanto più attuale, qui e ora, di fronte ai processi di segno opposto che oggi investono la cosiddetta sinistra italiana.
Il grosso dei vecchi gruppi dirigenti del PCI, poi DS, hanno completato il proprio tragitto entro un partito democratico all’americana, legato ai poteri forti del paese. Ed oggi sostengono non a caso il governo della Confindustria e delle banche.
Le sinistre riformiste (SEL e FDS) cercano di occupare lo spazio liberato a sinistra dalla deriva del PD per riproporsi , in forme diverse, come possibili alleate del PD.
Si tratta allora di dar vita all’unico partito della sinistra italiana che sia autonomo e alternativo alle cassi dominanti. Recuperando il filo rosso del Partito Comunista d’Italia delle origini, il partito di Antonio Gramsci. Il partito di cui il movimento operaio italiano è stato privato da più generazioni. Il partito della rivoluzione.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
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