Al fianco dei minatori di Soma.
Un'immane catastrofe ha colpito i minatori di Soma, 274 minatori morti e 120 ancora da recuperare.
Purtroppo più passa il tempo, meno possibilità si ha di salvarli.
Il criminale Erdogan ha fatto visita alla miniera, affermando che "sono cose che succedono", incidenti da "sempre accaduti in questo genere di lavori".
Certo, come se morire bruciati o asfissiati in miniera sia una cosa normale... ed in realtà lo è in un sistema in cui il profitto è tutto e la vita niente.
Troppi morti tra i lavoratori, nessuno tra la borghesia.
Statene certi, quando verrà il nostro turno non guarderemo in faccia a nessuno.
Pubblichiamo una canzone del mondo dei minatori, in ricordo delle vittime, che ben fa capire quale sia stata e quella che continua ad essere la condizione dei minatori.
L'autore Mario Rapisardi, ben raffigura nell'ultima strofa, il nostro stato d'animo.
PCL Frosinone.
Giustizia/ Canto dei minatori
Tra cieche forre, tra rocce pendenti
Su’l nostro capo, entr’oscure caverne,
Fra pozzi cupi e neri anditi algenti,
Fra rei mïasmi, fra tenebre eterne,
D’ogni consorzio, dal mondo noi scissi,
A nutrir gli ozj d’ignoti signori,
Noi picconieri di monti e d’abissi
Sepolti vivi scaviamo tesori.
Scaviam tesori noi squallido armento
A voi terreno concilio di Numi,
Tesor di ferro, di zolfo, d’argento,
Tesor di gemme ch’abbagliano i lumi.
A voi la terra vestita di fiori,
Le cene, i cocchi, i teatri, le danze,
Gli stabili ozj, i mutevoli amori,
Il compro riso d’eterne speranze;
A noi non occhio d’azzurro, non sole,
Non aura sana d’amore e di vita,
Non guardo amico, non dolci parole,
Ma pena eterna, ma notte infinita.
Uomini forse non siamo? Qual tristo
Destin c’infligge sì fiera condanna?
S’esiste Dio, se incarnato s’è Cristo,
Perchè a l’inferno ancor vivi ci danna?
Scaviam, scaviam; chi sa? forse tra poco
Ci mozza il fiato quest’aria maligna,
Ci schiaccia il monte, divoraci il foco:
Vedete? in fondo la morte sogghigna.
Scaviam, scaviam le ree viscere a questa
Terra a noi ricca d’obbrobrj e d’affanni;
Finchè un sol guizzo di vita ne resta,
Scaviamo il trono de’ nostri tiranni.
Stridete, su, negre macchine immani,
Argani urlate, picconi battete,
Tuonate, mine, scoppiate, vulcani;
Le nostre tombe mugghiando schiudete.
Venuta è l’ora! Noi vili, noi rei,
Ai forti, ai giusti sorgiamo davanti;
Noi, bulicame d’abietti pigmei,
Mirare in volto vogliamo i giganti.
Noi v’abbiam dato l’immenso tesoro,
Che in sen chiudeva gelosa la terra;
Ma voi, titani de l’ozio, con l’oro
Avete mossa a noi primi la guerra.
Noi v’abbiam l’arche di gemme ripiene,
E voi le figlie ci avete corrotte;
Del ferro avete a noi fatte catene
Per inferrarci a l’errore, a la notte.
Del carbon adro, che l’arti ravviva,
Che vi sfossiamo noi maceri e lerci,
A voi calore, a voi luce deriva
E pingui industrie e volanti comerci.
Per voi spezziam le montagne, per voi
Scendiam ne’ letti de l’igneo granito;
E voi co’l marmo negato agli eroi
Colossi ergete a chi il pan ci ha rapito.
Eppur, vedete? siam buoni e cortesi,
Benchè canaglia da forca e da fogna:
Patrizj biondi, panciuti borghesi,
Brindiamo un po’, non abbiate vergogna:
Brindiamo insieme al Lavoro che affranca,
A la Giustizia che l’opere abbella,
Al pan che a noi, a l’onor che a voi manca,
Ed a la Pace che tutti affratella.
Ma voi fremete, ed offesi dal lezzo
Dei nostri cenci torcete la faccia,
E ci lanciate co’l vostro disprezzo
Un duro tozzo e una vecchia minaccia.
Voi minacciate? Codardi! Com’angue
Le cento lingue il nostr’odio saetta:
Non vogliam pane, ma sangue, ma sangue,
Ma un giorno solo d’allegra vendetta.
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