domenica 31 agosto 2014

FERGUSON, LA POLIZIA, L'AUTODIFESA. 

Breve constatazione sulla mutazione della politica militare proletaria.





L'abuso in divisa come conseguenza del disciplinamento delle masse è, nei fatti di Ferguson, riconosciuto dai più. I fatti sappiamo bene come sono andati.
La necessità di tutelarsi dal "progetto disciplina" ed affermare la propria agibilità sociale passa attraverso una presa di coscienza, in larghi strati delle masse, del concetto di autodifesa. 

Il marxismo rivoluzionario, nell'epoca dell'agonia mortale del capitalismo ha impresso il concetto di autodifesa nel proprio programma. La lunga fase dell'agonia mortale del capitalismo si caratterizza nell'emarginare le masse dal sistema, nel dichiarargli un'incessante guerra sociale e politica, nel reprimerle senza possibilità di mediazione. Emarginazione e controllo ( dalla fabbrica al quartiere) sono prassi della guerra alle masse dichiarata dal capitalismo. 

Nell'epoca in cui la formazione militare è riservata ad una piccola elìte al servizio della borghesia, la quale è garante della repressione, ogni rivendicazione di armamento generale del popolo, per quanto corretta sia da un punto di vista storico, non sta nella realtà. 

La borghesia non ha bisogno di un popolo in armi che la difenda, soprattutto durante la sua crisi più profonda, ma di professionisti al suo soldo. Non tornerà mai indietro, non metterà mai al corrente le masse delle innovative tecniche di preparazione militare.

Non stiamo parlando di forme militari ottocentesche, ma di squadre della repressione. I modelli militari proletari non possono essere basati su quelli passati, ma sulla consapevolezza di essere costruiti in base a quello che si ha di fronte, nello scenario in cui si è costretti ad operare.

Le squadre di autodifesa, il ritorno al "patrolling" nel caso di Ferguson, sono le uniche possibili nel breve periodo, per giunta sperimentate con esiti positivi in Grecia, sia contro i MAT e i DELTA, che contro Alba Dorata. Le squadre di autodifesa sono la forma embrionale della moderna politica militare proletaria.

Le forme della lotta di massa sono cambiate, comprendere il carattere concreto dell'epoca in cui si vive è l'unica garanzia degli sviluppi a venire....  aspettarsi l'aiuto della borghesia è una misera utopia. Il proletariato è solo, può contare solo sulla propria forza.

                                                                                                            PCL Frosinone




venerdì 22 agosto 2014

                               FERGUSON OLTRE LE APPARENZE.


                                                                


Quello che non vogliono dirci dei fatti di Ferguson comincia ad essere chiaro.
La tesi secondo cui la rivolta sia scaturita da fattori esclusivamente razziali non regge alla prova dei fatti. C'è qualcosa di più profondo nei riots di Ferguson, c'è qualcosa di più profondo nella "guerra aperta" scatenata dallo stato nei confronti dei rivoltosi.

La questione razziale negli Stati Uniti si caratterizza come questione di classe. Smentendo le chiacchiere delle democrazie borghesi, i fatti di Ferguson dimostrano chiaramente che razzismo e capitalismo sono in stretta relazione.
Il modo in cui il capitalismo emargina e disciplina le masse nere americane è causa diretta delle sue necessità valorizzative, esso ha bisogno di sfruttare al massimo la forza-lavoro e al tempo stesso intimorire i larghi strati che ne vivono ai margini.

La rivolta di Ferguson si inserisce in questo scenario, l'era del capitalismo in crisi, l'era del riemergere della rabbia delle masse, l'era della presa di coscienza dell'indissolubilità della lotta di classe.

Il proletariato metropolitano statunitense ( miscela sociale di vari soggetti sottoposti allo sfruttamento capitalista) è esploso come in molti altri paesi durante questa crisi. I riots in questione non sono scaturiti dal semplice omicidio di un ragazzo nero ( fatto di per sè ignobile), ma trovano la forza di alimentarsi nel malcontento sociale causato dal sistema affamato di plusvalore. L'omicidio di Micheal Brown è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Siamo di fronte ad una soggettività sociale unita dallo sfruttamento, confusa e solida allo stesso tempo. La massa del XXI° secolo.
La rete della lotta di classe internazionale si arricchisce di nuove maglie sempre più strette, sempre più fitte.

Ribadiamo ancora il nostro pieno appoggio alla giusta lotta portata avanti a Ferguson, esprimendo ancora solidarietà alla famiglia di Micheal e a tutte quelle colpite dalla violenza poliziesca, a tutti gli anticapitalisti d'America.
                                                                                                  
                                                                                                  PCL Frosinone.

giovedì 21 agosto 2014

« Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi... Posso vedere la verde striscia di erba oltre la finestra ed il cielo limpido azzurro oltre il muro, e la luce del sole dappertutto. La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore. »

Lev Davidovič Bronštejn "Trotsky" - Janovka, 7 novembre 1879 – Coyoacán, 21 agosto 1940.


lunedì 18 agosto 2014

                                            AMERIKKKA





Ferguson, St Luis, Missouri. Uccidere un ragazzo di colore non è reato.
Michael Brown, diciottenne di colore muore ucciso da un poliziotto, disarmato.
"Hands up, don't shoot", ha gridato il ragazzo prima di essere raggiunto da uno stuolo di proiettili. 

E' tutto chiarissimo. Se sei nero diventi immediatamente un sospettato, un delinquente passabile alla pena di morte in strada, a colpi di pistola. Non valgono i tuoi diritti, non vale la tua innocenza, non vale essere disarmato e con le mani alzate.
Ci chiediamo come sia possibile questo. E la risposta sta lì, sta nel comprendere la profonda ambiguità di una società cresciuta sullo sfruttamento razziale.

La profonda crisi che scuote gli USA sta accrescendo la disparità di classe, sta delineando sempre più la distanza tra chi vive "garantito" dal sistema e chi ne vive ai margini. Disparità di classe che riporta allo scoperto la profonda disparità razziale che permea profondamente la società americana, per nulla scomparsa a seguito dell'elezione di un presidente nero come molti ingenuamente speravano.

Ferguson è la prova di questo. Il 67% della popolazione è nera, il 94% delle forze di polizia è formata da bianchi. Quasi il 100% dei fermi in strada riguarda la popolazione nera...

La rivolta è giusta, la rivolta è necessaria. Ribellarsi a questo atto è una prova evidente di ribellione verso qualcosa di più grande. Ribellarsi al razzismo è ribellarsi al capitalismo.

Il razzismo non è un'invenzione, non è ignoranza. Il razzismo è funzionale al capitalismo, è parte dello sfruttamento, è necessario a tenere a bada le aspirazioni delle masse nere americane. E' un prodotto del capitale, come la Colt o il Chewin gum...


Il razzismo sparirà insieme al sistema che l'ha generato : il capitalismo.

La nostra piena solidarietà va alla famiglia di Michael, alla comunità nera in lotta nelle strade, a tutti gli anticapitalisti d'America. 
     
                                                                                            PCL Frosinone

 





giovedì 24 luglio 2014

                        NON ARRETRARE, CARICA!




La questione sociale e politica delle classi subalterne, non è una giusta motivazione per manifestare.
No! E' un problema di "ordine pubblico". Le classi subalterne sono uno strato sociale da monitorare, da intimidire, da reprimere.
E' cosa risaputa, se devi reprimere devi farlo bene. E lo stato capitalista, macchina efficiente della repressione, non viene mai meno al suo ruolo. Anzi si migliora.

In vista del "terrificante autunno di lotta" i reparti antisommossa avranno a disposizione spray al peperoncino e telecamerina sulla divisa (già sperimentata per filmare i pericolosi soggetti scesi in piazza il 28 Giugno).
Tutto ci appare molto chiaro, non è altro che una nuova stretta repressiva nei confronti delle migliaia di persone che hanno deciso di sfidare apertamente il capitale, di non stare più ai suoi ricatti, di provare a sentirsi liberi.
Un altro mattone nel muro.

Da marxisti rivoluzionari non possiamo far altro che prenderne atto, anzi, lo facciamo a cuor sereno.
Non ci meraviglia affatto. Ai militanti il danno, al padrone di turno il servizio.
Una cosa soltanto però, quando verrà il turno delle masse, quando saranno loro a presidiare le piazze di certo rideranno dinanzi all'obbiettivo... e non arretreranno.
Oggi bardati e coperti, domani a brutto muso.
Oggi servi e repressi, domani liberi ed eguali.
"Ich war, ich bin, ich werde sein".


domenica 20 luglio 2014

VOGLIAMO RICORDARLO COSI'...





Ricordiamo oggi un simbolo della lotta anticapitalistica, un compagno morto sulla strada della rivolta ad un sistema che di umano non ha niente, divoratore di uomini in nome del profitto.
Ciao Carlo, conosciamo bene la strada da seguire.
Ogni altra parola è superflua.

martedì 15 luglio 2014

             LA SUBDOLA PROPAGANDA BORGHESE


Ci capita spesso durante il confronto politico di sentirci rivolgere, da comunisti, alcune accuse totalmente campate in aria, frutto molto spesso di ignoranza e soprattutto di mirata propaganda borghese. Come di consueto, di scarsa fattura.
Durante un volantinaggio, durante le iniziative della liberazione (troppo spesso strumentalizzata dalle forze borghesi e moderate) o perfino durante un "giro" nei ritrovi abituali dei lavoratori, proletari, disoccupati e marginali ci sentiamo appellare come dittatori, calpestatori della libertà, freddi calcolatori sociali. Ci viene da dire "chi più ne ha, più ne metta!"
Non ci sorprendiamo se è direttamente la borghesia a rivolgerci tali accuse, ma da leninisti e portatori di coscienza di classe, sentirle dai proletari e dagli sfruttati, senza ombra di dubbio ci fanno riflettere.

IL COMUNISMO E' UNA CRIMINALE DITTATURA?

"Ancora oggi sul comunismo l’Occidente fa fatica ad accettare e riconoscere la verità storica. L'ideologia comunista è la più criminale e disumana nella storia dell'uomo"
                                                                                                                        S. Berlusconi.

L'ideologia dominante è sempre stata l'ideologia della classe dominante.
                                                                                                                         K. Marx.

Non è un caso se partiamo da queste due affermazioni, che a rigor di logica offrono la soluzione al problema posto in precedenza.
Partiamo quindi da un presupposto marxista, l'ideologia dominante è quella della classe dominante.
Nel sistema capitalistico la borghesia, detentrice dei mezzi di produzione, è la classe al timone ed in quanto tale investe con la sua ideologia tutti gli strati sociali, proletari compresi o meglio per primi. La borghesia, oggi più che mai, ha bisogno di guadagnare i larghi strati proletari alla sua ideologia, alla sua causa : crisi sistemica e coscienza di classe le causerebbero non pochi problemi.
Sappiamo bene negli strati sociali proletari da chi vengono somministrate queste dosi di falsità, ma oggi ci esimiamo dall'accusare le burocrazie al servizio del padrone. Quello che ci interessa è mettere in luce le falsità di tali insinuazioni, attraverso i punti salienti di un dialogo fatto con un operaio edile davanti ad una birra.

La dittatura del proletariato, il comunismo, al di là della potenza immaginaria del nome non è una dittatura, anzi è la più grande delle democrazie.
Perchè?
Perchè non rappresenta il dominio dei pochi sui molti, rappresenta il dominio della maggior parte della società su una minoranza.
Che minoranza?
Gli industriali, i banchieri, in generale i capitalisti. Quelli che detengono la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Ma che è 'sta proprietà dei mezziiii... de che?
La proprietà privata dei mezzi di produzione. Un esempio? Hai presente quella fabbrica là, quella che ha chiuso ed è stata delocalizzata...
Si un sacco de gente è rimasta senza lavoro!
Ecco, ci siamo. A causa di una caduta di profitto. In pratica il padrone stava guadagnando di meno, ma non stava sul lastrico. Per guadagnare di più ha preferito spostare la fabbrica in un altro paese, sottopagare i nuovi lavoratori e buttare in mezzo alla strada tutti lavoratori che vi lavoravano in precedenza. Per il guadagno del singolo, ci rimmettono in molti.
Ho capito ma la fabbrica è la sua?
Ed è questo il problema. Dopo aver usufruito del lavoro degli operai, dopo essersi riempito le tasche con il loro sudore, li ha scaricati lasciandoli senza un futuro, con mogli e figli a carico. Te pare giusto?
NO! Se me dovessero licenzià so cazzi...
Appunto, hai anche una certa età ed è difficile trovare lavoro.
Purtroppo... e quindi in alternativa?
L'alternativa di fondo è la democrazia dei lavoratori, il comunismo.
Ma il comunismo è 'na dittatura, hai visto che fanno?
Cha fanno?
Comanda solo lo stato, devi fare tutto come dice lui, anche nella vita!
Questo non è vero, non è proprio così. Premetto che il comunismo o meglio nella prima fase il socialismo non è in realtà come lo stai immaginando. Ammetto che per esempio in URSS o a Cuba ci sono stati e ci sono dei problemi, dovuti soprattutto a degli eccessi burocratici e fortemente "partitici".
Comunque con una economia pianificata, anche con tutti i difetti che può presentare ci guadagneresti ugualmente. Lavoro, sanità, servizi vari, scuola gratuita.... ne vedi da queste parti?
NO, non ne vedo... anzi se paga tutto. Ma allora a Cuba se sta bene?
Diciamo che si sta meglio che da noi, vedi ad esempio la sanità. Ma si potrebbe stare molto meglio, se il potere passasse direttamente nelle mani dei lavoratori... purtroppo la forte presenza della burocrazia fa sì che i lavoratori non abbiano un pieno potere politico... però hanno comunque dei vantaggi che il capitalismo, la proprietà privata dei mezzi di produzione, non può consentire.
Quindi in questi paesi c'è il comunismo?
Non proprio, secondo il mio concetto di comunismo. Diciamo che è uno stato dei lavoratori con dei difetti. Secondo me i lavoratori di questi paesi dovrebbero detenere il potere politico.

Ma io ho sentito altre cose...
Grazie, devi cosiderare chi te le dice...
Al telegiornale, i politici...
Eccerto, fanno parte di questo sistema! lo devono difendere, hanno anche loro degli interessi. Secondo te perchè vai in giro con una Uno con il fascione penzolante e ci stiamo stoccando una birra? Secondo te i politici, i padroni, i ricchi di ogni specie stanno facendo questo? C'hanno pure loro la Uno?
Ma quale Uno... 'na bella sportiva...
E allora...
Mesà che che è come dici tu... Comunque è interessante ne riparliamo. Sul serio. Mo' devo 
andà...

Abbiamo riportato questo stralcio di quotidiano discorso ( ben più lungo nella realtà) e propaganda subalterna per evidenziare come i proletari in genere, abbocano alle idiozie della borghesia. Con un minimo di ragionamento è stato possibile far vedere la realtà al nostro interlocutore, anzi neanche questo, è soltanto la nebbia che si è diradata. Il "lavora, consuma, crepa" funziona benissimo, anzi alla perfezione. L'unico antidoto alla nebbia della borghesia è la militanza comunista, fatta di attività quotidiana (anche in maniera informale là dove mancano concrete possibilità), di sacrificio e di dedizione.                         
                                                                                                        PCL Frosinone.

domenica 13 luglio 2014

                LA DELICATEZZA DELL'ANTIFASCISMO  



L'elezione al parlamento europeo di Marina Albiol Guzman, rappresentante di Izquierda Unida e del PCPV, ha entusiasmato molti a causa della maglietta antifascista indossata.
Non ci interessa criticare l'abbigliamento dell'eurodeputata o lei personalmente, ma il significato profondo di quel gesto e di quel simbolo, a nostro avviso del tutto fuori contesto.

Siamo certi dei buoni propositi dell'eurodeputata, ma il messaggio che ne scaturisce è fuorviante per le nuove generazioni che si avvicinano all'antifascismo. Chi ha deciso di combattere il fascismo con la militanza sa a cosa ci riferiamo.                                                                                                     Avendo subito pestaggi, querele, provocazioni da parte dei fascisti (a cui abbiamo risposto con i fatti, non con le chiacchiere) ci sentiamo in dovere verso i nostri compagni e verso chi si sta avvicinando alla militanza rivoluzionaria, di fare brevemente chiarezza.

IL FASCISTA E' AL SERVIZIO DEL PADRONE

La natura del fascismo è strettamente legata al sistema capitalistico. Il fascismo non è un movimento a sè, nè tantomeno "rivoluzionario" come vogliono essi darla a bere. Il fascismo è il braccio armato irregolare del capitalismo. L'ancora di salvezza della borghesia nei suoi periodi più duri. Non siamo noi a dirlo, ma è la storia.
La lotta antifascista rappresenta una parte centrale della lotta al capitalismo, e se vogliamo una delle più ardue e cruente.
Come ricorda Trotsky: "Il fascismo non è nient'altro che la reazione del capitalismo".
Nella crisi di sistema che stiamo attraversando, la borghesia sta favorendo il risorgere delle forze più reazionarie che sembravano distrutte in passato.
Alba dorata in Grecia (colpevole di pestaggi ed omicidi), il Front National in Francia, Jobbik in Ungheria, Pravyi Sektor in Ucraina... non sono un caso, ma necessità ad un sistema in decomposizione. L'agonia mortale del capitalismo genera il fascismo, esso va schiacciato. Senza sè e senza ma.

PERCHE' IL GESTO DI MARINA ALBIOL E' FUORVIANTE?

Perchè illude le nuove generazioni di battersi contro il fascismo in maniera "democratica", istituzionale, senza sporcarsi le mani. Questo favorisce il fascismo. Questo è garantirgli l'impunità.
Affidarsi alle istituzioni non è mai stata cosa buona, specie se si tratta di antifascismo.
Lo stesso simbolo in quell'aula è stato fuori luogo.
Il gesto di Marina Albiol puzza un miglio lontano di radicalismo in salsa democratica, raffigurante una generazione di "anticapitalisti" con la faccia pulita e le mani morbide... convinti che infilare la scheda con una x sul progressismo democratico risolva i problemi dei deboli, arginando i picchiatori. Stronzate!
L'antifascismo si fa con le mani che prudono...
                                                                                               PCL Frosinone



                                                                                                   

giovedì 10 luglio 2014

ALZIAMO LA BANDIERA PALESTINESE

 


In queste ore lo Stato Sionista e il suo attuale governo Netanyahu stanno preparando l'ennesima rappresaglia contro il popolo palestinese. L'uccisione di tra ragazzi israeliani per mano di ignoti sequestratori è il nuovo pretesto dell' aggressione annunciata. In Cisgiordania sono in corso da settimane rastrellamenti, arresti, uccisioni di attivisti palestinesi dietro il pretesto della “ricerca dei responsabili”. Ora si annuncia al mondo la punizione di Gaza, dove i bombardamenti cosiddetti mirati hanno già prodotto morti civili e terrore. La memoria delle operazioni di guerra sionista “Piombo fuso”( 2008) e “Pilastro di Difesa” (2012) è ben impressa negli occhi e nel dolore della popolazione araba di Gaza e della Palestina.

I sepolcri imbiancati dell'imperialismo democratico occidentale già coprono preventivamente la nuova aggressione annunciata del sionismo. L'orrore ( reale) dell'uccisione a freddo dei tre ragazzi israeliani, diventa la bandiera della legittimazione della vendetta. Della comprensione preventiva dell'assassinio pianificato, rivendicato, esaltato, indiscriminato, di attivisti e civili palestinesi, donne, bambini, anziani. Dentro la rappresentazione capovolta del mondo e della verità che vede un popolo di profughi nella propria terra, privato di tutto, in veste di oppressore sanguinario; e uno Stato coloniale e gendarme, armato sino ai denti, che nega loro ogni diritto alla vita, nei panni di povera vittima della barbarie araba.

Contro questa rivoltante menzogna e ipocrisia che abbraccia tutte le forze politiche e intellettuali dello stesso imperialismo italiano, il PCL alza tanto più oggi la bandiera palestinese. Denuncia la natura reazionaria del sionismo, che calpesta la migliore tradizione democratica del popolo ebraico. Rivendica il diritto al ritorno dei palestinesi nella propria terra, da cui furono cacciati col più spietato terrore: e quindi la dissoluzione, per via rivoluzionaria, dello stato sionista d'Israele, della sua potenza militare, dei suoi fondamenti giuridici confessionali e razziali ( negazione del diritto al ritorno dei palestinesi; discriminazione giuridica degli arabi all'interno dello stesso Stato di Israele; diritto all'espansionismo permanente ebraico in Palestina attraverso l'automatica cittadinanza israeliana ad ogni ebreo che ne faccia richiesta; pratica sempre più ampia degli insediamenti coloniali nelle terre occupate; negazione dei diritti più elementari di terra, acqua, casa, per i palestinesi dei territori e dei campi profughi.).

 

Solo una sollevazione rivoluzionaria del popolo di Palestina, dentro una più generale sollevazione araba contro il sionismo e contro le borghesie nazionali arabe sue alleate, può garantire la liberazione della Palestina e il diritto di piena autodeterminazione del suo popolo. Solo questa prospettiva di lotta può sbarrare la strada al fondamentalismo integralista islamico, vecchio e nuovo, tra le stesse fila dei palestinesi. Solo questa prospettiva può realizzare uno Stato Palestinese laico, democratico, socialista dentro una Federazione socialista araba e del Medio Oriente. Solo questa prospettiva può dare una sponda progressiva e coerente a tutte le forze del mondo ebraico che vogliano liberare la stessa tradizione democratica e antifascista ebraica dal sionismo che l'ha sequestrata: i diritti nazionali della minoranza ebraica saranno salvaguardati entro il rispetto dei diritti storici di autodeterminazione dei palestinesi, non contro di essi .
E' imbarazzante su tutto questo il silenzio e il balbettio delle sinistre italiane ( SEL, PRC). Subalterne culturalmente all'opzione truffa “Due popoli, due Stati”, che le accomuna all'universo politico borghese. Subalterne alla attuali direzioni e rappresentanze politiche maggioritarie palestinesi, che sono o complici del sionismo ( Abu Mazen) o fondamentaliste reazionarie( Hamas). Ma soprattutto preoccupate del fatto che una propria opposizione al Sionismo, possa escluderle da ogni prospettiva di governo a braccetto col PD, o comunque dalla “comunità politica” della democrazia borghese, italiana ed europea.

Il PCL rifiuta questa subordinazione. Propone un'immediata mobilitazione sotto le ambasciate e consolati israeliani contro le annunciate operazioni di guerra. Denuncia le aggressioni squadriste che bande sioniste hanno ieri realizzato a Roma contro attivisti filo palestinesi, nel silenzio generale della “stampa democratica” e dei media. Rivendica il diritto di autodifesa delle azioni di protesta a fianco dei palestinesi contro ogni aggressione squadrista/sionista.


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

lunedì 23 giugno 2014

DALLA PARTE DELLE MASSE PALESTINESI.




In queste ore l'imperialismo israeliano sta colpendo duramente le masse palestinesi.
Dal rapimento dei tre giovani israeliani, senza alcuna prova di una matrice palestinese, l'esercito israeliano sta conducendo operazioni di intimidazione nel classico stile che da sempre lo contraddistingue: perquisizioni, uso della forza, omicidio.
Alcuni civili hanno perso la vita a seguito di raid dell'esercito o colpiti dal fuoco israeliano negli scontri.
La rabbia popolare sta crescendo, in questi giorni, anche contro l’Autorità nazionale palestinese (Anp) che ribadisce di voler continuare a collaborare con gli invasori.
Esprimiamo solidarietà alle masse palestinesi vittime dell'imperialismo, ricordando sempre che il nemico da abbattere non cederà neanche un metro di terra di sua spontanea volontà o attraverso negoziati di pace. Solo una lotta dura e di massa lo farà indietreggiare.
L'unico modo possibile di aiutare la resistenza palestinese, per noi internazionalisti, sta nel combattere il "nemico in casa nostra".

Palestina Libera, Palestina Rossa!
                                                                                                            PCL-Frosinone

giovedì 19 giugno 2014

IL 28 GIUGNO TUTTI A ROMA!

DIAMO FUOCO ALLA PRATERIA!




Per il 28 Giugno, a Roma , un fronte unitario di forze politiche e sindacali della sinistra di ispirazione classista ( PCL, PDCI, PRC, Rossa, “Il Sindacato è un'altra cosa-Cgil”, USB...) ha indetto una manifestazione nazionale contro il governo Renzi e le politiche di austerità italiane ed europee, a difesa del lavoro.

La manifestazione segnerà l'avvio del Controsemestre europeo operaio e popolare, a fronte del semestre di Presidenza italiana della UE. Un semestre che vedrà l'Italia in prima fila nella contrattazione e gestione delle politiche di austerità sospinte dal capitale finanziario europeo, contro i lavoratori, i precari, i disoccupati. Un semestre che vedrà impegnati Renzi e il suo governo a recitare la parte pubblica dei “riformatori” delle politiche di austerità in Europa al solo fine di consentirne la continuità in Italia con un mascheramento populista e truffaldino (v. le 80 Euro.. a carico di chi le riceve).

Il governo Renzi non è la semplice continuità dei governi precedenti, ma il tentativo di risolvere la lunga paralisi politico istituzionale della borghesia italiana in direzione di uno sbocco reazionario. La torsione “bonapartista” di Renzi, il suo rivolgersi direttamente al “popolo” scavalcando i corpi intermedi, la sua recita di generoso elemosiniere sociale, il suo presentarsi come uomo della “resurrezione dell'Italia nel mondo”, sono la cifra di un populismo di governo che cerca il consenso del “popolo” per governare contro il popolo, ed in particolare contro i lavoratori: sul piano sociale, a partire dall'impatto devastante del decreto Poletti , con l'infamia di contratti a termine senza limiti e tutele. Sul piano politico e istituzionale, con il progetto di un'abnorme legge elettorale truffa e del pieno controllo dell'esecutivo, e di Renzi stesso, sul Parlamento.

La manifestazione del 28 Giugno è innanzitutto pertanto una manifestazione contro il governo, le sue misure, i suoi progetti. E contro la latitanza e/o complicità col governo delle direzioni del movimento operaio italiano ( in primis della CGIL): che negli anni, col tradimento dei lavoratori, hanno spianato la strada al populismo anti operaio sia di governo( Renzi) che di opposizione (Grillo), e che per di più oggi subiscono contemporaneamente, senza reagire, l'aggressione al lavoro e la propria stessa umiliazione e marginalizzazione.



Il PCL sarà presente in forma organizzata alla manifestazione unitaria del 28 Giugno, portandovi attivamente le proprie parole d'ordine e proposte coerentemente anticapitaliste:

La centralità della classe operaia come polo di ricomposizione del blocco sociale alternativo.

La necessità di una vertenza generale unificante del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, a partire dalla rivendicazione della riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di paga, della cancellazione del decreto Poletti e di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro, di un salario garantito di almeno 1200 euro netti per i disoccupati che cercano lavoro e per i giovani in cerca di prima occupazione.

La necessità di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio e dei diversi movimenti sul terreno delle forme di lotta di massa, al fine di immettere sul campo la forza materiale di milioni di salariati e di tutti gli sfruttati.

La necessità di ricondurre l'opposizione al governo Renzi e le battaglie quotidiane di resistenza sociale alla prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro organizzazione e sulla loro forza, quale unica vera alternativa.

La necessità di ricondurre l'opposizione di classe in Italia alle lotte del movimento operaio in Europa , nella prospettiva storica degli Stati Uniti Socialisti del vecchio continente. Contro le illusioni di un'”Europa sociale” capitalistica, e contro le mitologie “sovraniste” comunque declinate. Perchè in Italia e in tutta Europa l'alternativa non è fra le monete ma tra le classi; non è tra euro e monete nazionali, ma tra capitale e lavoro.
                                                                                          Partito Comunista dei Lavoratori.

venerdì 13 giugno 2014

Secondo comunicato sulla lotta dei lavoratori Alcoa: tutto rinviato al 24 giugno



Nel tardo pomeriggio di ieri l'incontro al ministero dello sviluppo economico con gli Operai Alcoa ha semplicemente rinviato ogni decisione ad un prossimo incontro fissato per il 24 giugno, già fissato prima dell'arrivo dei lavoratori a Roma. Gli operai non hanno neanche ricevuto informazioni su eventuali acquirenti, l'unica cosa assicurata loro è la continuazione delle manutenzioni anche dopo il 30 giugno e soprattutto del coinvolgimento diretto della presidenza del Consiglio nella vertenza (nella persona di Delrio), anche se già in passato, nel 2009, intervenne la presidenza del Consiglio senza che se ne cavasse nulla.
Quanto alle tende che avrebbero voluto mettere davanti al ministerogli è stato concesso di metterle a Villa Borghese insieme al permesso di manifestare anche oggi. Il prossimo appuntamento sarà quindi il 24 giugno, una giornata in cui, probabilmente, molti nodi arriveranno al pettine. Per quanto ci riguarda continueremo a solidarizzare con i lavoratori in lotta per il posto di lavoro consci che, ad ora, solo la proposta di mobilitazione ed esproprio degli stabilimenti darebbe la certezza del lavoro a chi lo sta perdendo.

mercoledì 11 giugno 2014

Comunicato PCL sul presidio dei lavoratori Alcoa a Roma. 

Da questa mattina i lavoratori sardi Alcoa presidiano il ministero per lo sviluppo economico. La delegazione arrivata questa mattina ha prima bloccato la strada limitrofa poi è partito un breve corteo fino alla sede del ministero dove i lavoratori hanno intonato cori a difesa del lavoro e sbattuto i caschetti sull’asfalto. Il presidio di oggi è in concomitanza con un primo incontro al ministero, il 24 Giugno torneranno a Roma nuovamente, ma per oggi l’intenzione dichiarata, nonostante le pressioni della questura e le minacce di denuncia in caso di accampata , è quella di rimanere a Roma almeno fino a domani. I lavoratori sperano in un compratore ma finora solo la Clash, una finanziaria estera, sembrava essere interessata salvo poi non far uscire nessun piano industriale. Fra gli operai si insiste molto sul fatto che l’Alcoa produce il 15% dell’alluminio utilizzato in Italia e la chiusura porterebbe necessariamente a dover importarlo con tutti i costi del caso. Mentre seguiamo gli sviluppi della giornata chiamiamo alla massima solidarietà tutte le organizzazioni di sinistra di Roma e a sostenere il presidio dei lavoratori Alcoa.
Aggiornamenti seguiranno dopo l’incontro

giovedì 5 giugno 2014

Clément Méric.

 

In ricordo di un compagno ucciso un anno fa dai fascisti.

Clémet era un militante antifascista, appartenente all'antifascismo militante parigino.
Un giorno, mentre si trovava ad un mercatino di abbigliamento skinhead, fu riconosciuto dai fascisti di JNR e picchiato selvaggiamente. Le bestie lo uccisero.
Clement sapeva che praticare l'antifascismo è un dovere ed è morto combattendo.
E' morto come un partigiano sulle montagne, come un compagno di Odessa e come tanti altri che hanno abbracciato la causa dell'uguaglianza e della libertà.
La terra ti sia lieve compagno.
Ricordiamo sempre, con buona pace degli imbroglioni della non violenza, che il fascismo è un movimento violento, va ripagato con la stessa moneta.                        
                                                                                                                 PCL Frosinone.


lunedì 2 giugno 2014

Femminismo di classe: analisi e strategia

Un contributo alla discussione








INTRODUZIONE
 

La necessità di organizzare un femminismo che sia di classe nasce dall'esigenza di colmare un vuoto nell'analisi dell'oppressione femminile, letta finora quasi esclusivamente in senso ingenuamente interclassista. Non lo si fa per feticismo marxista, quanto perché ci troviamo di fronte ad una crisi capitalista devastante, e si sente il bisogno, oggi più che mai, di intervenire ed analizzare la realtà sottolineando la necessità di mettere al centro, anche dell'analisi femminista, gli interessi delle proletarie e della classe lavoratrice tutta.
Si avverte inoltre la necessità di superare una volta per tutte quel punto di vista borghese che ravvisa la causa dell'oppressione femminile esclusivamente nell'inadeguata rappresentazione della donna nei mass media oppure nella rappresentanza politica. Le soluzioni e gli strumenti di questo punto di vista sono insufficienti, in quanto non affrontano la questione attraverso un'analisi materialista della realtà che ci circonda. L'approfondimento di altri ragionamenti e di altre pratiche è quindi ormai vitale per lo sviluppo di serie lotte anticapitaliste, le uniche che possono favorire la liberazione della donna.
Quello di cui abbiamo bisogno, quindi, è capire quali sono le soluzioni tattiche e strategiche da offrire alla causa per la liberazione femminile dall'oppressione patriarcale e capitalista, e per fare ciò occorre capire in cosa consiste lo sfruttamento della donna lavoratrice oggi: senza lasciare da parte la specificità di genere, quindi, ma avendo cura di leggerla in un'ottica di classe.
Il femminismo di classe è quindi quel femminismo che analizza la società in quanto formata da classi, che analizza i modi specifici attraverso cui il capitale sfrutta il genere femminile, in relazione al rapporto che la donna instaura nei confronti del modo di produzione. Rifiuta di leggere la realtà come massa indistinta divisa in due generi sessuali, di cui uno è sempre carnefice e l'altro è sempre vittima. Questo perché è solo attraverso una lettura di classe della realtà in cui viviamo che è possibile enucleare la reale natura dello sfruttamento femminile (anche quando questo sfruttamento non è immediatamente riconducibile alle forme dello sfruttamento capitalistico e come tale riconoscibile) ed emanciparsi, insieme, da questo sistema. Il femminismo di classe, quindi, si prefigge di combattere tutte quelle forme attraverso le quali il capitale sfrutta le donne, tanto in ambito lavorativo, quanto in quello familiare.
Quello per un femminismo di classe è un progetto assai ambizioso, ma è la crisi capitalista che stiamo attraversando a dimostrare che c'è bisogno di un'impostazione particolare di tutte le lotte del genere femminile, che non veda identità femminile e lotta di classe come due concetti separati di fronte ai quali le donne devono scegliere: la scelta non si può fare, i due concetti sono intersecati.

 

OPPRESSIONE FEMMINILE E CAPITALISMO
L'oppressione femminile non è nata e non coincide col capitalismo, sebbene sia una delle oppressioni centrali che mantengono in vita questo sistema economico: essa infatti è tra i principali strumenti, ad esempio, attraverso cui il capitale mantiene basso il costo della forza-lavoro.
Ma ciò che, più in generale, caratterizza la condizione delle donne all'interno del sistema capitalistico è il loro ruolo specifico di produzione e riproduzione (in senso proprio) della forza-lavoro, attraverso tutto ciò che attiene alla riproduzione biologica della specie umana e alla cura della casa e delle condizioni di vita della specie stessa.
Una definizione del genere può rischiare di apparire riduttiva nei confronti dell'immensa esperienza e storia vissute dal genere femminile nei secoli, ma, se sviluppata ed approfondita adeguatamente, ci permette di far luce sulla realtà dello sfruttamento femminile nei luoghi di lavoro e a casa, e di formulare una soluzione adeguata per emanciparci da questa società, e porre quindi le basi per l'effettiva liberazione della donna.
Circa la natura reale dell'attuale sfruttamento femminile, occorre sottolineare che esiste una specificità di genere che preesiste (storicamente) a quella di classe, e di cui bisogna prendere atto ai fini di un'analisi completa. Non solo nel senso che l'oppressione femminile è venuta a crearsi (e a cristallizzarsi) precedentemente all'oppressione di classe (capitalisticamente intesa), ma anche nel senso che l'oppressione che il capitalismo esercita sull'uomo non è uguale a quella che esercita sulla donna, perché la storia della donna si è sviluppata sui ruoli (economici, sociali, civili ecc.) che, come genere, ha dovuto incarnare nel corso dei secoli, costituiti da vari tipi di sfruttamento ed emarginazione che sarebbe impossibile riassumere in poche righe, ma che la contraddistinguono come genere oppresso.
Accanto, si è delineata la storia del genere maschile, che, da una parte, è sostanzialmente di dominio all'interno della famiglia, e, dall'altra, di carne da macello del sistema economico (capitalistico, ma non solo): da questo si evince che la donna proletaria ha in comune con l'uomo proletario l'essere sfruttata dal capitale, ma in un modo particolare e cioè, come abbiamo già detto, in quanto produttrice e riproduttrice di forza-lavoro. Tuttavia, se certamente il capitale mette in posizione di dominio sociale l'uomo, tale per cui viene socialmente giustificato il dominio dell'uomo sulla donna (e sui figli) e la sua relazione di proprietà con essa (da cui scaturisce, tra l'altro, la maggioranza delle situazioni di violenza), bisogna dire però che il ruolo specifico riservato alla donna nel capitalismo, come vedremo più avanti, non è una variante della violenza maschile, bensì dello sfruttamento capitalista: questo non significa voler deresponsabilizzare l'uomo in quanto individuo e "giustificare" il tutto con l'oggettività del sistema, ma cercare di capire attraverso quali canali si alimenta e si rafforza oggi l'oppressione femminile.

 

FEMMINISMO DI CLASSE E FEMMINISMO BORGHESE
Esiste, quindi, una storia di genere, oltre ad una storia di classe, che va presa in considerazione e in virtù della quale non è esatto affermare che le donne borghesi siano privilegiate tanto quanto gli uomini borghesi, proprio perché, attraverso una lettura materialista della realtà, i due soggetti non si possono considerare alla pari: anche la donna borghese, sebbene in modalità nettamente diverse dalla proletaria, continua ad essere oppressa come donna[1].
La reale differenza tra la borghese e la proletaria, che poi è quella che ci interessa maggiormente, si trova nel fatto che, attraverso la disponibilità di denaro derivante dalla posizione che occupa all'interno del sistema produttivo, la prima ha accesso a quei servizi che sono invece negati alla seconda, e inoltre ha maggiori possibilità di condurre un'esistenza più libera, nonché, in generale, di emanciparsi individualmente.
Su questa esperienza, quello che si può genericamente identificare come “femminismo borghese”[2], molto articolato al suo interno ma abbastanza unitario nella proposta politica, fonda quest'ultima sulle parole d'ordine dell'emancipazione e dell'autonomia individuale, vissute come aspirazioni della singola donna, e, a suo dire, raggiungibili da qualunque donna. Inoltre, i modelli di autonomia ed emancipazione che esso propone sono ricalcati sui modelli di autonomia ed emancipazione funzionali alla società capitalista: fanno eco, cioè, ad un'idea di libertà che non risolve le contraddizioni su cui questa si poggia, e a cui possono aspirare solo coloro che dispongono i mezzi per farlo.
Se quindi è vero che esiste un'oppressione che accomuna tutte e che è data dal genere, il femminismo di classe propone di andare alla radice del problema, perché si propone di abbattere questo sistema economico in quanto ravvisa in quello socialista l'unico modo possibile per porre le basi per la liberazione femminile.
Se obiettivi del femminismo, tanto borghese quanto di classe, saranno per esempio il diritto della donna di affermare la propria volontà sul proprio corpo, il femminismo di classe non intende raggiungere quell'obiettivo con una legge o con una riforma politica (peraltro cancellabile in qualsiasi istante: si veda il caso della Spagna di Rajoy, che ha reso praticamente illegale l'interruzione volontaria di gravidanza). Quello che bisogna fare, invece, è risolvere il problema dalla radice, e cioè mettere in discussione il ruolo che la società capitalista ha riservato alle donne, e l'emarginazione a cui l'ha storicamente condannata.
La libertà e la scelta devono essere un punto di arrivo per tutte, non un punto di partenza riservato ad alcune in certi momenti storici favorevoli.
Azzardando un paragone, l'idea di emancipazione femminile fatta propria dal femminismo borghese ha dei punti in comune con il mito del sogno americano: così come il cittadino americano senza diritti e spesso in una situazione di notevole povertà è disposto a vivere in una situazione di disagio nell'attesa di diventare un ricco (senza mai, alla fine, diventarlo), allo stesso modo la donna proletaria, spesso, è disposta ad accettare condizioni di lavoro massacranti, a casa e al lavoro, sicura che un giorno sarà libera, che la sua vita sarà in qualche modo “diversa”, migliore, grazie al solo sudore della propria fronte. Il riscatto che le viene proposto e che popola il suo immaginario non è mai collettivo, bensì singolo, individuale. Entrambi questi miti sono un inganno, perché l'unico cambiamento possibile è praticabile collettivamente e radicalmente, cioè alla radice del sistema stesso.
E allora, parlando di “doppio sfruttamento”, il femminismo borghese intende eliminare solo lo sfruttamento “della cura”, cioè della produzione e riproduzione biologica della forza lavoro, non quello del capitalismo sulla lavoratrice (intende anzi servirsi dello stesso capitalismo per emanciparsi individualmente, e a scapito degli altri).
In un'ottica di classe è chiaro che lo sfruttamento non è “doppio”, non è cioè divisibile in due momenti netti: la sfera personale e quella lavorativa (vale a dire ruolo di produttrice di forza-lavoro e ruolo di forza-lavoro) non si possono separare chirurgicamente, nel momento in cui le donne, per esempio, sono costrette a fare lavori (non necessariamente di cura) in cui si fa leva su una loro presunta naturale predisposizione alla sensibilità, alla pazienza, che poi si traduce nell'accettare qualsiasi condizione di lavoro (e che costituiscono vero e proprio lavoro salariato). Lo sfruttamento è quindi uno, ed è composto da più sfaccettature: per la proletaria comincia la mattina quando si sveglia e finisce la sera prima di andare a dormire, e passa attraverso la cura della famiglia; per lei il lavoro non è quasi mai, nemmeno apparentemente, uno spazio in cui poter esprimere se stessa e valorizzare le sue capacità, ma un luogo in cui deve subire la violenza del capitale per guadagnarsi da vivere ad un prezzo di molto inferiore a quello maschile.
In conclusione, la proletaria, cioè colei che vende la sua forza-lavoro in cambio del salario, riveste una funzione particolare, che ne fa l'asse portante del funzionamento del capitalismo: essa vende se stessa al capitalista in cambio del salario, come il proletario (uomo), ma si trova storicamente in posizione subordinata rispetto a quest'ultimo, sebbene sia nello stesso rapporto nei confronti del modo di produzione. La lavoratrice non solo produce e riproduce forza-lavoro, ma è a lei che il capitalismo relega anche tutto quel lavoro di "manutenzione" della forza-lavoro stessa, cioè di cura della famiglia; di per sé, la cura e la riproduzione non costituiscono fattori discriminanti, ma in un sistema capitalistico-patriarcale sì, perché fonte di ulteriore alienazione.
Allo stesso tempo, sebbene accomunate da un'esperienza storica di oppressione di genere, la proletaria non condivide gli interessi della donna borghese, in quanto non sarà mai in grado di godere della libertà di cui gode lei: può solo immaginarla ed aspirare ad essa, senza raggiungerla mai. Dal femminismo borghese è, questa volta sì, “doppiamente” illusa, perché dopo averle promesso che un giorno sarà libera, all'atto pratico non solo non lo sarà mai, ma la confina in una concezione astorica e quindi passiva della realtà, in cui si ritrova ad essere disconosciuta come soggetto storico attivo capace di scrivere, insieme alla propria classe, il suo destino.

 

FEMMINISMO DI CLASSE E RIFORMISMO
A partire dalla presa di coscienza dell'inseparabilità della sfera intima e di quella lavorativa e dalla crescente femminilizzazione del lavoro[3], è andata sviluppandosi l'idea che un modo efficace per la liberazione femminile potrebbe essere il reddito di cittadinanza (anche se talvolta, sempre nella stessa area politica di movimento, si rivendica un non ben chiaro "reddito di autodeterminazione", intendendolo come sinonimo), strumento che dovrebbe rendere meno ricattabili le donne perché economicamente indipendenti.
E' una proposta, questa, dichiaratamente riformista, perché non intende intervenire all'interno della contraddizione capitale-lavoro.
Nella prassi, questa istanza è stata accolta da larga parte dei settori femministi (e non solo), che la vedono come una rivendicazione estremamente radicale, e come unico argine praticabile in difesa dello sfruttamento capitalistico.
Rifiutare in toto un approccio che riconosce l'aspetto economico e collettivo del problema (pur avanzando, poi, una soluzione inefficace) sarebbe sbagliato, perché ha quanto meno il pregio di porre l'attenzione su alcune delle forme di lavoro che riguardano anche le proletarie e di rifiutare il concetto di “doppio sfruttamento”; tuttavia quello che va fatto, come femministe di classe, è distinguersi nella proposta politica: il reddito minimo non va ad intaccare, infatti, le cause dello sfruttamento, essendo esso uno strumento che agisce, palliativamente, soltanto nell'ambito della distribuzione della ricchezza.
Al momento dell'intervento politico, adottare un'ottica di classe significa tenere conto della specificità della lavoratrice in quanto donna (cioè forza-lavoro atta al lavoro di riproduzione biologica e di cura), e di come questa specificità agisca in particolare nelle richieste del padronato ai fini dell'assunzione, ad esempio. Significa, inoltre, non adattare un'analisi universale-maschile ad una che invece ha bisogno di far emergere dati spiccatamente femminili, che si riferiscono cioè a tutto ciò che trasforma il dato del genere in mezzo ulteriore di estorsione di pluslavoro e plusvalore. Al centro del discorso va posto il fatto che il ruolo della donna si è configurato in questo modo in quanto, all'interno del capitalismo, forza-lavoro (già e sempre) subordinata.
D'altra parte, soffermarsi sulla femminilizzazione del lavoro senza ragionare in un'ottica rivoluzionaria (come fa il femminismo riformista), e non cogliere le contraddizioni del capitalismo, è deleterio per le donne stesse: il rischio è, di nuovo, quello di percepire la propria condizione di sfruttamento come astorica ed immutabile, impossibile da cambiare in quanto connaturata al proprio essere; certamente il capitale ha fatto leva su elementi che già facevano parte dell'esperienza storica dell'oppressione femminile operata da parte di sistemi economici precedenti, ma questa è appunto un'esperienza storica, che può cambiare.

 

PER UN'AZIONE POLITICA AUTONOMA
Allo stato attuale, in Italia, si può dire che non esistono più organizzazioni politiche femminili di massa, come l'UDI[4] che fu. Quel ruolo vorrebbe essere incarnato da altri soggetti politici di movimento, ma che, strutturalmente, sono impossibilitati a farlo. Il femminismo di movimento, infatti, non può che riflettere la realtà frammentata in cui viviamo, in cui tutto, a partire dalle lotte, ha inevitabilmente carattere non unitario e disomogeneo, con tutti i limiti strutturali che ne derivano (iniziativa politica legata all'estemporaneità o alla mera reazione contro qualcosa, per esempio).
Un'azione politica femminista di classe, invece, vede problemi quali il diritto negato all'aborto, l'altissimo tasso di disoccupazione femminile, il salario femminile più basso di quello maschile, l'assenza di un servizio sanitario pubblico decente, tanto per fare degli esempi, come espressioni di una violenza sola, ossia quella esercitata dalla classe dominante sulla classe lavoratrice, e nello specifico sulla donna. Da questa constatazione ne deriva che non è sensato portare avanti in luoghi diversi battaglie che si possono e si devono ricondurre ad unità.
Discorso a parte merita “Se non ora, quando?” (SNOQ), associazione politica nata su iniziativa di alcune donne borghesi di diverso colore politico che, all'interno di una dinamica politica segnata dall'antiberlusconismo di marca liberale, sono riuscite a cogliere il problema della marginalità generale cui sono relegate le donne nella nostra società, indicando però come politicamente significativa solo la marginalità o l'inadeguata rappresentanza delle donne nella televisione e nei media in generale, oltre che nelle istituzioni.
SNOQ ha saputo smuovere una considerevole parte delle masse femminili grazie a parole d'ordine populiste, che hanno dirottato il dissenso e il disconoscimento nei confronti di un ceto politico corrotto verso un tipo e una rappresentazione di donna ben precisa, che incarnerebbe tutti i mali, e che ha fornito l'alibi morale e politico a manovre governative di tipo securitario e discriminante. Tuttavia, nel tempo, la base di SNOQ si è notevolmente staccata dal vertice, e pur senza sviluppare alcun movimento significativo, ha portato ad una certa attività diverse lavoratrici e studentesse, che tuttavia non sanno come tradurre politicamente la loro generica e ancora interclassista presa di coscienza, data l'assenza di referenti esterni.
In alcuni collettivi femministi, invece, l'intersezione tra classe e genere viene posta effettivamente al centro delle discussioni e delle analisi, ma l'intenzione delle componenti non è quasi mai quella di organizzarsi come avanguardia, né quindi di intervenire, se non marginalmente, nelle situazioni di lotta che le possono politicamente interessare. Non è loro interesse organizzare la classe, né tantomeno unificare le lotte, e per questo o si ritrovano spesso politicamente isolate (e ad accusare questo isolamento e questa difficoltà di comunicazione con l'esterno), oppure ad allearsi (soprattutto al momento delle elezioni) con forze borghesi di centro-sinistra, al solo scopo di dare visibilità pubblica alle proprie istanze. L'alternativa, per soggetti politici del genere, è sempre tra istituzionalizzazione ed isolamento politico.
Ai fini dell'analisi è infine utile fare il punto e approfondire i temi della storia del femminismo, italiano e non solo: il femminismo riformista di oggi sviluppa ulteriormente alcuni temi del femminismo della differenza degli anni Settanta, che si scontrò coi partiti di allora (tanto con i partiti di massa storici della sinistra, PCI in testa, quanto in minor misura con i gruppi della nuova sinistra) perché, da una parte, incapaci di accogliere le richieste femministe e di capirne l'importanza; dall'altra, rifiutati in quanto si ritenevano luoghi strutturalmente inadatti ad accogliere certe istanze. Ciò che connotò questo femminismo fu il rifiuto netto dell'idea di organizzazione in senso tradizionale e la decisione di non strutturarsi se non separatamente e in collettivi; fattori che, da una parte, videro le figure di spicco del movimento o scomparire completamente dalla scena oppure venire fagocitate in isole felici separate e politicamente ininfluenti. Dall'altra, lasciare le istanze femministe nelle mani delle istituzioni o cadere nel dimenticatoio, tant'è che la storia del femminismo italiano è, ad oggi, semisconosciuta.
Il femminismo di classe, dal canto suo, è sempre esistito come considerazione a margine: l'esistenza delle classi era appurata nell'analisi femminista degli anni Settanta, grazie alla forza del movimento operaio dell'epoca. Ma in quell'analisi la lotta per una identità femminile liberata era inconciliabile con la lotta di classe, o con qualsiasi lotta che non fosse esclusivamente contro il patriarcato.
Compito di un femminismo di classe e rivoluzionario è dialogare con tutte quelle realtà che convergano sulla necessità di sviluppare un femminismo che metta al centro gli interessi e i bisogni delle proletarie e della classe lavoratrice tutta, e indirizzare quegli interessi e quei bisogni in direzione anticapitalista. Ciò sia nell'intervento in situazioni di lotta a prevalenza femminile sia in quelle maschili, perché il nostro sfruttamento è parte di un processo produttivo e di una contraddizione sola, che ci riguarda come parte del genere umano e come classe, che deve però essere unita e compatta (col massimo rispetto delle differenze di ciascuno) nel superamento di questo sistema sociale.


Note:
[1] Anche la donna borghese è, per esempio, obbligata in quanto donna, ad adempiere agli obblighi del lavoro di cura. Tuttavia, avendo i mezzi per delegare questi lavori a colf, baby sitter, ecc., può non assolvere ai compiti che "naturalmente" le spetterebbero, ma su di lei, in ogni caso, incombe la gestione di questo tipo di lavoro, anche se delegato.
[2] Il femminismo borghese non ammette l'oppressione di genere come parte centrale del sistema capitalista, e se lo fa, non intende superare le contraddizioni del sistema, perché considera prioritario il superamento dell'oppressione di genere. Il difetto di questo pensiero è vedere lo sfruttamento come divisibile in due momenti, mentre per il femminismo di classe, come vedremo più avanti, non è così.
[3] Con il concetto di "femminilizzazione del lavoro" si indica, in maniera generica, una generale crescita della forza-lavoro femminile, nonché l'insieme delle politiche governative atte a perseguire un aumento della presenza delle donne sui posti di lavoro. La letteratura più o meno scientifica sul tema è vastissima, ma le studiose sembrano non riuscire a convergere, nonostante i fiumi di inchiostro spesi sul tema, su una possibile chiave di lettura politica della questione. Qui ci si limita a considerarla come forza-lavoro con tutte le specificità di genere di cui già si è parlato diffusamente nel testo.
[4] Unione Donne Italiane, poi Unione Donne in Italia. Fondata nel 1945, durante la Prima Repubblica fu legata al PCI.

                                                                                                                    Serena Ganzarolli

martedì 27 maggio 2014


LA NATO IN UCRAINA.



 

I fatti accaduti in Ucraina, hanno dimostrato che la rivolta tossica di Piazza Maidan non è stato un caso spontaneo, bensì una vera e propria trama ad opera di una tristemente nota struttura : la NATO.
Non affermiamo questo per manie complottiste, per dare sempre e comunque la colpa agli imperialisti, per essere retorici. Affermiamo questo perchè le dinamiche che hanno portato all'abbattimento del governo Yanucovich, sono state talmente precise da escludere una casualità degli eventi e al contratrio affermare la sua pianificazione. Tutto è avvenuto in maniera meccanica.

Questa constatazione deriva studiando non tanto le veloci dinamiche di piazza, ma la creazione di strutture armate in Ucraina, filo-occidentali nella propria natura e profondamente antirusse. Strutture unitisi sotto il nome di Pravyi Sektor.
Come precedentemente abbiamo sottolineato, Pravyi Sektor è una unione di strutture paramilitari naziste, nate dopo il crollo degli stati operai degenerati e del blocco sovietico.
Formazioni che da subito si sono addestrate all'uso delle armi e delle tecniche di guerra, specie in quel settore di guerriglia urbana paramilitare usata dalle truppe irregolari serbe, si pensi alle "Tigri". E' chiaro che non ci troviamo davanti a semplici teste pelate che giocano con gli M-16, ma a veri e propri professionisti della guerra e delle tecniche. Ora, come è possibile che abbiano raggiunto un livello così alto di combattimento, non certo con il "fai da te".... fatto dimostrabile per altro dalla loro presenza in scenari di guerra molto impegnativi, si è parlato di guerriglia cecena, antirussa per eccellenza.

Il tutto porta ad una conclusione, ovvero la presenza della Nato e delle sue strutture in Ucraina da molto tempo. L'imperialismo preferisce prevenire che curare, per questo quello occidentale si è mosso immediatamente contro quello russo. La sua prevenzione ha riguardato, non a caso, la formazione di tali strutture da usare a suo piacimento in vari scenari di guerra sotterranea, niente di più classico, un modus operandi noto da molto tempo. Ovviamente sono state usate al momento opportuno, dai fatti di piazza Maidan, e continuano ad essere usate per uccidere e terrorizzare. Se fossero stati dei semplici rivoltosi, divenuti protagonisti per caso le forze al governo li avrebbero liquidati da un pezzo, data la loro follia. Tuttavia, quando si rappresenta direttamente la Nato in un certo scenario, si è in una botte di ferro. Certo sarebbe interessante approfondirne alcuni aspetti, in futuro ne sapremo sicuramente  di più. Oggi questo è quello che possiamo affermare con sicurezza.

Non manchiamo di affermare tutta la nostra vicinanza al popolo dell'Est ucraino impegnato nella lotta al fascismo, ai compagni che devono vivere in clandestinità, ai familiari delle vittime di questa ennesima barbarie imperialista.

Non siamo pacifisti, e mai contrarremo questo immondo male, ci sentiamo solo di dire che davanti a questi scenari, la "guerra è la continuazione della politica con altri mezzi".  Da una parte, e così deve essere necessariamente dall'altra. Altrimenti si perisce prima ancora di rendersene conto.
           
                                                                                                         PCL-Frosinone.

venerdì 23 maggio 2014

ALLE EUROPEE NON C'E' IL PROGRAMMA DEI LAVORATORI.

                      

                           NON VOTARE! 

 

IL TUO VOTO ANDRA' ALLA BORGHESIA, CHE NON SI FARA'  SCRUPOLI

NEL CONTINUARE A SFRUTTARTI.

LAVORATORE, DISOCCUPATO, PENSIONATO, SFRUTTATO ASTIENITI!

 

Addio  a Vittorio Rieser.




Questa è una di quelle notizie che non avremmo mai voluto dare, Vittorio Rieser studioso della classe operaia e militante proletario non c'è più.
Con lui se ne va un modello di militanza e di attività intellettuale che oggi nessuno rappresenta.
E' facile parlare di operai, di classe, di fabbrica in maniera astratta. Lontani anni luce dal comprendere i nuovi comportamenti proletari, la nuova condizione, del tutto inedita del proletariato ai tempi del post-fordismo.

Vittorio ci lascia in un momento critico riguardante le analisi di classe, ci lascia in mezzo a chi crede che la classe operaia sia rimasta nelle forme assunte nell'ottocento o peggio tra chi crede che si sia estinta.

Tutta la vita di Vittorio è stata al servizio del proletariato, egli da marxista, non mancava mai di analizzarne gli aspetti in meniera scientifica, capirne i comportamenti, gli orientamenti al fine di elaborare strategie di lotta sindacale.
Dai Quaderni Rossi al Collettivo Lenin e ancora da Avanguardia Operaia a DP, passando per un breve periodo in Rifondazione fino all'impegno sindacale, le pecularietà di Vittorio non vennero mai meno.

Diamo l'addio ad un esempio di militanza, coerenza e scientificità marxista.
La terra ti sia lieve Compagno.

                                                                                                             PCL Frosinone.

domenica 18 maggio 2014


 

Non è un incidente sul lavoro, è un vero e proprio massacro!






Dichiarazione del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (DIP) sulla catastrofe nella miniera della città di Soma.



Non è un incidente sul lavoro, è un vero e proprio massacro!

Gli assassini dei minatori ne rendano conto!

Abbasso il governo!

Per uno sciopero generale fin quando non saranno soddisfatte tutte le richieste!

Diciamo la verità alla gente sul numero dei morti!

Per una Commissione d’inchiesta indipendente che faccia luce sulle cause del massacro!

Fermiamo lo stato d’emergenza di fatto a Soma!

Che i padroni ed i dirigenti della criminale compagnia mineraria siano arrestati immediatamente!

Per la nazionalizzazione della miniera di Soma sotto il controllo dei lavoratori!

Basta privatizzazioni! Per la rinazionalizzazione di tutte le miniere! Il settore privato non deve avere accesso alle miniere!


La classe lavoratrice turca è colma di un dolore indescrivibile, Abbiamo sacrificato centinaia di figli e fratelli sull’altare della voracità del capitale. Gli amari frutti delle politiche portate avanti dal governo dell’AKP per oltre una decade, la privatizzazione, il subappalto, la desindacalizzazione, il disinteresse per la salute dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro, la generale tendenza a calpestare tutte le conquiste ed i diritti acquisiti dalla classe lavoratrice, sono chiari a tutti: centinaia di fratelli operai saranno per sempre sepolti sotto terra, dove ogni giorno scendevano a guadagnarsi il pane. Siamo pieni di un dolore inimmaginabile! Noi, Partito Rivoluzionario dei Lavoratori, porgiamo le nostre condoglianze alla gente di Soma e, soprattutto, alle famiglie ed ai parenti dei lavoratori deceduti.


Non si tratta di una coincidenza, e nemmeno di destino. Quanto è accaduto è palese: i padroni legati al governo dell’AKP hanno fatto il loro tempo! Questa è l’epoca che stiamo attraversando! Zafer Çalayan, ex ministro del commercio, ora fuori dal governo perché si è scoperto aver ricevuto, un orologio Philippe Patek da 250.000 dollari come tangente da un criminale che si occupava di traffici illegali tra l’Iran e la Turchia, in cambio di protezione, era solito girare il mondo per promuovere la Turchia, vantandosi che “i miei lavoratori sono così docili da lavorare più a lungo di chiunque altro, per un salario più basso e senza mai mettersi in malattia”!


Tutti i capitalisti, stranieri e locali, si sono energicamente protessi da spese “inutili” (!) che avrebbero abbassato i loro profitti. Nessun pagamento degli straordinari, nessuna sicurezza sociale, la forza lavoro divisa dall’uso di una moltitudine di subappaltatori nei luoghi di lavoro, i salari sempre più bassi, nessuna retribuzione di anzianità, e soprattutto tutte le misure necessarie per la salute dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro comodamente accantonate”


Questa è la base del tanto decantato PIL di diecimila dollari pro capite! Per far arricchire i padroni devono morire i lavoratori!


Non si tratta di un incidente! E’ la logica conseguenza di politiche perseguite nella maniera più sistematica e consapevole per oltre un decennio, in realtà persino da più tempo.


Si tratta di un omicidio collegato al lavoro. E di omicidio intenzionale, se è per questo. La Turchia risulta prima in Europa e terza a livello internazionale per gli “incidenti” sul lavoro. Ogni anno seppelliamo circa un migliaio di lavoratori per soddisfare la sete di profitto del capitale. Se un governo non muove un dito per porre fine a questa situazione, allora si tratta di omicidio intenzionale! Ecco perché l’omicidio di lavoro a Soma deve essere chiamato, giustamente, massacro!


Nonostante l’obbligo di una giornata lavorativa massima di sette ore e mezzo nelle miniere, i lavoratori hanno raccontato di lavorare anche undici ore. Il motivo per cui non si può stabilire il numero di lavoratori intrappolati nella miniera è che molti lavorano a nero. Alcune delle famiglie in attesa che i loro cari venissero estratti vivi hanno detto ai nostri compagni che là sotto hanno figli di quindici anni! Il fatto che il Ministro dell’Energia e delle Risorse Naturali abbia asserito che questa miniera in particolare sia stata soggetta a tutti i controlli necessari dimostra che egli agisce in combutta coi padroni della miniera per coprire la loro responsabilità nell’accaduto. C’è un crimine, e c’è il rischio che questo crimine sia oscurato!


I sospettati devono essere arrestati! Non qualche ingegnere o caposquadra di basso livello, ma i padroni ed i loro dirigenti!


Non c’è scampo! La classe lavoratrice, l’operaio, il povero della campagna ed il povero della città, il pensionato, le donne, i giovani, tutti gli oppressi, tutti quelli che hanno partecipato alla rivolta popolare dell’estate scorsa, tutti noi dobbiamo muoverci per liberarci di questo governo e delle sue politiche che non conoscono confini nella difesa degli interessi dei capitalisti. Abbasso il governo!


Il governo sta cercando di oscurare la prova di questo crimine, Sta tentando di imporre a Soma uno stato di emergenza di fatto. Il numero dei morti è stato sistematicamente nascosto fin dal primo momento. Mentre le fonti governative insistevano su cifre sotto i 20, il sindaco di opposizione di Manisa, la provincia in cui si trova il distretto di Soma, ha parlato di 175 vittime, cifra che ora pare essere solo una prima stima. I lavoratori di Soma parlano di numeri oltre i 201 che ha ora tardivamente ammesso il Ministro dell’Energia e delle Risorse Naturali.


Ora il governo sta nascondendo i cadaveri, inviando i corpi nelle loro città natali e ricorrendo a tutti i tipi di stratagemmi per nascondere la verità al popolo. Si stanno in tutta fretta trasferendo truppe a Soma. Il governo sta preparando a chiudere un occhio verso i veri criminali ed a reprimere la gente di Soma! Giù le mani dalla gente di Soma, che già sta soffrendo per la morte dei loro cari! Basta con l’imposizione di uno stato di emergenza di fatto sulla città! I nostri martiri della classe lavoratrice devono avere una cerimonia funebre collettiva!


Non dobbiamo credere alle cause del massacro ed al numero dei morti riportati dal governo. Deve essere creata una Commissione d’inchiesta indipendente, che includa, tra gli altri, rappresentanti del movimento sindacale e organismi professionali e associazioni forensi di ingegneri e fisici, ed a questa commissione si deve garantire l’accesso a tutte le informazioni e prove.


Deve essere rivista l’intera industria mineraria. Devono essere prese, sotto il controllo dei lavoratori, tutte le misure necessarie a dotare le miniere di sicurezze lavorative. Devono immediatamente cessare le privatizzazioni. Tutte le miniere che in passato sono state privatizzate, devono essere di nuovo nazionalizzate.


I subappalti devono essere vietati! Sicurezza sul lavoro per tutti! Tutti gli ostacoli posti sulla via della sindacalizzazione devono essere rimossi! Giù le mani dal regime di retribuzione di anzianità! Che sia ritirato il progetto di legge sulle agenzie interinali!


Il lavoratore non è uno schiavo! Si uniscano alla lotta, ora, tutti coloro che si rifiutano di essere i tirapiedi della classe capitalista! Cambiamo questo ordine sociale! Solo un governo di lavoratori ed operai può proteggerci di fronte alla morte!


Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (DIP)